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venerdì 3 luglio 2015

Dita intinte nel calamaio della terra e del fuoco




Due brevi aneddoti, uno diurno e l'altro notturno, entrambi scaturiti durante la lettura, che per protagonisti hanno, in qualche modo, le mani.

Parco del Po, la sacra cerca della panchina perduta.
Non ce n'è più traccia, eppure sono sicurissimo ci fossero. Vado avanti e indietro per un po', magari me le sono perse. Poi, notando la sterpaglia stile savana, che mi arriva alle ascelle, sono costretto ad ammettere che forse qualcosa è drasticamente cambiato dall'ultima volta che ci avevo messo piede. Tra l'altro non incontro anima viva, è scomparso tutto, persone e cose.
Verrò poi a scoprire che i tavoli e le panche non me li ero sognati, c'erano davvero prima che qualche burlone li incenerisse...
Non demordo, sono venuto qui a leggere in santa pace e troverò un posto alternativo dove sedermi.
Se almeno il comune si fosse preso la briga di tagliare quella sin troppo lussureggiante prateria...Rimane percorribile solo lo stretto sentiero che costeggia la sponda del fiume.
Gira e rigira, tra liane, coccodrilli palustri e libellule zebrate o zebre libellulate, come preferite, l'unico angolino che individuo per poter posare le ormai poco speranzose terga, è una microscopica spiaggetta, a due passi dall'acqua del Po(che tra l'altro quest'anno si avvicina ad essere quella di un vero fiume piuttosto che di una cloaca).

Il recente periodo di piena ha lasciato un pavimento di limo e fanghiglia, ormai tutta screpolata dalla cottura del forno solare, salvando proprio nel mezzo un monticello di sabbia asciutta, pulita e ombreggiata da salici e pioppi bonsai. Il parcheggio ideale per un lettore pleinair.
Appena tento di sedermi mi accorgo che tutto non ci sto, sono obbligato a tenere appoggiati i piedi fuori dal divano lindo e profumato per farli sprofondare in quella gelatina viscida viscida che tanto avrei voluto evitare.
Dovendo fare buon viso a cattivo gioco mi autoconvinco che i fanghi sono terapeutici e naturali, li fanno persino i pachidermi! Ho deciso, puccio i calcagni in quel budino di mota, per accorgermi che è uno strato ben sottile, subito sotto sento la più rassicurante solidità della sabbia umida.
Posso finalmente incominciare il libro appena acquistato.
Sembra che abbia azzeccato la scelta, la lettura mi prende, tant'è che presto inizio a sottolineare il testo...Un momento, sottolineare con che cosa? Non ho con me né matite né penne!
Dopo aver tirato giù dall'attico un paio di santi patroni ( ma anche loro erano senza matite quindi li ho lasciati razzolare liberi nel folto della foresta padana) prendo in considerazione l'utilizzo delll'unghia del pollice a mò di evidenziatore per sottolineare il testo con un solco acromatico( se vede eh c' ho fatto er l'iceo), quando all'improvviso mi solletica un' idea ancora più balzana. ( Forse l'ombra dei bonsai era sufficiente solo per i miei alluci ed avevo lasciato la  testa in totale balia della canicola...)
Mi accorsi infatti che stavo giochicchiando con le dita, senz'altro una reminiscenza di età prescolare: facendo rotolare tra le dita un pezzettino di quel limo appiccicoso  avevo creato una pallina argillosa che scintillava dei minuscoli frammenti di mica contenuti al suo interno.
La tentazione, irresistibile, era di utilizzare quel pezzettino di terra come matita, per lasciare una barra a fianco del testo che mi interessava.
Fluttuai per un istante tra il pensiero della pulizia e  quello della sporcizia, del sottolineare e dell'imbrattare, del lecito e del proibito.
Mi sentii tutto d'un tratto un monello di otto anni, pronto a combinare l'ennesima marachella.
Ma poi riflettei: dopo millenni a stretto contatto con il suolo e la terra, da cosa scaturiva quel disturbo e malessere generale che istiga le persone a gridare allo scandalo alla prima macchiolina di terra sui calzoni o a un'orma fangosa lasciata sul pavimento ( prospettiva di vita in presenza di qualsiasi donna: 2,15 secondi; quasi al livello della velocità di decadimento delle nuove particelle individuate al Cern di Ginevra). Perchè consideriamo la terra così sporca? Sarà colpa della martellante pubblicità che fomenta battute di caccia domestiche al più innocuo batterio dimenticato sullo scalino? Ai cartelloni WANTED, stile far-west, appesi su tutti i palinsesti televisivi e cartacei, che ci mostrano le facce di quei brutti ceffi tanto poco raccomandabili quanto invisibili ad occhio nudo?
Eppure gli incarnati dei ritratti e le ombre di tutti i pittori del mondo sono fatti con la Terra di Siena bruciata...
D'accordo, obietterete voi, l'impaludata Cremona non è minimamente paragonabile alla ridente Toscana, ma nonostante ciò, con un moto di coraggio, mi son deciso a riesumare il tocco delle pitture rupestri e a lasciare il morbido tratto burroso dell'incarnato del Po su quello più pallido e smunto della cellulosa.




Il secondo aneddoto è meno incentrato sulle parole perchè si mescola, come vedrete, con le immagini.

Alcune sere fa, prima di addormentarmi, stavo leggendo un bel libro spaparanzato sul letto.
Decido di spostare il fascio di luce della lampada in modo tale che illumini meglio le pagine.
Mentre muovo il calice snodabile, mi accorgo che la luce, quando le avvicino molto le dita, passa dal normale giallo ad un rosso cremisi infuocato, quello dei più bei tramonti che possiate ricordarvi, tanto per intenderci.
Affascinato da quel colore inusuale e dall'aura di rubino che attornia la mia mano,  rimango per alcuni istanti incantato davanti a quello spettacolo inedito.
Sorpresa nella sorpresa, noto che non solo la luce cambia radicalmente colore ma sembra penetrare la carne stessa della mia mano ormai infuocata ed ecco che appaiono come per magia, sottili venature dal colore scuro e ombre affusolate: nient'altro che le vene e le ossa della mano!
Mi ritrovo come bimbo curioso che ha tra le mani, in tutti sensi, un gioco misterioso e inatteso, una sorta di raggio x casalingo che ti trapassa il corpo e ti mostra come davvero sei fatto, cosa contieni e cosa celi in quell'effimero fagotto di ciccia e ossa che ti porti dietro ad ogni istante.
Prima carne, spessore, opacità e materia; poi, tutto d'un tratto, energia, luce, fuoco e trasparenze.
Ciò che è celato e invisibile all'improvviso appare, come inattesa teofania, di un te che non ti aspetti, di un te stesso che ti spiazza.
A chi tenta ogni volta di cancellare il grande senso di mistero della vita, a chi non è più capace di meravigliarsi, suggerisco di passare una mezza serata con il proprio bambino, poco importa se interiore o esteriore, per divertirsi un mondo e lasciarsi, per una volta, meravigliare ancora.
Basta davvero poco, una di queste lampade e soprattutto che non siate morosi con qualcuno dell' Enel. :-)

A ben vedere questo gioco di luci e ombre, di chiariscuri estremi, come in un quadro iper-caravaggesco, potrebbe benissimo essere uno di quegli atti creativi e liberatori che tanto piacciono al buon Jodorowsky.
A proposito di quadri, mentre rimiravo quelle dita ormai non più mie, così trasfigurate da sembrare obelischi o menhir vibranti di un' avanzatissima tecno-civiltà aliena , non potei non immaginare come le eventuali foto fatte in quel frangente ricco di poesia, avrebbero avuto un certo senso artistico o per lo meno suggestivo.
Allora, come se in realtà stessi catturando un momento unico e irripetibile, un'arcana congiunzione di raggi e pianeti, non riproducibile a piacimento, mi sono fiondato a recuperare la macchina fotografica.
Ripropongo qui alcuni immagini al naturale, non ritoccate o rielaborate.
 
  


 





  
La semplicità non è mai stata così ricca e arricchente.




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