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giovedì 9 luglio 2015

"Reflessione": Psicomagia, un libro di A. Jodorowsky. parte II di II



A metà strada tra una recensione e una riflessione, ultima parte.

L'ulteriore e forse decisivo passo che portò Jodo ad elaborare, alcuni anni più tardi, le basi della psicomagia ( non temete, ci arriviamo), fu l'incontro e la frequentazione di una grande curandera messicana, la celebre Pachita.
le modalità dell'incontro profumano già di soprannaturale: sembra uno di quegli avvenimenti predestinati, un incrocio-incontro ineludibile. Lui va a trovarla incuriosito dalla fama che la precede, vuole conoscerla  e  addirittura osa farle la proposta di diventare suo assistente, lei accetta, lo benedice e gli offre un dono materializzato dal nulla, lasciando sbigottiti tutti gli astanti per il raro privilegio concessogli.
Jodo inizierà così un periodo a stretto contatto con la guaritrice, che lo immergerà in quella che lui stesso chiama la dimensione onirica del Messico, dove tutto si mescola tra realtà è fantasia, tra sogno e lucidità. Un universo di profumi speziati inscindibili dall'olezzo più nauseabondo di escrementi animali, una giostra di visioni nitidissime e percezioni ultraterrene inchiodate al muro di carne e lacrime polverose disseminate per ogni strada.
Ormai lo sappiamo, quando Jodo parla della sua vita e degli incontri straordinari che l'hanno costellata, è come se ci proiettasse in uno dei suoi film o fumetti: tutto prende una piega surreale, incredibile, che fa gridare al miracolo ad ogni pagina.
Non so in quanti crederanno ciecamente agli avvenimenti “impossibili” riportati a profusione, che lasciano il lettore quasi sazio e anestetizzato da tante e strabordanti  meraviglie, eppure il bello è che Jodo cita miracoli e fatti incredibili con una nonchalance pazzesca come fossero fatti di ordinaria amministrazione, cose di tutti i giorni.
E per lui lo sono davvero, percepisci chiaramente che ha toccato con mano, che non ha bisogno di mentire, che la sua vita è intrisa e disseminata di miracoli, come in un abbagliante e abbacinante carnevale metafisico e al contempo fisicissimo.
Vive tutto questo con tale spontaneità che non si cura nemmeno dell'impatto che potrebbe avere sugli altri. Te lo racconta come se nulla fossa, con semplicità e ingenuità fanciullesca.
E lo stesso dicasi per le mirabolanti imprese di Pachita: talmente poco gli importa di convincerti della genuinità o meno della sua magia che lui stesso ammette di non avere una risposta definitiva, dice soltanto: poco importa che sia magia vera o l'illusione di una grande prestigiatrice, quel che importa è l'effetto che scatenava sui pazienti, una moltitudine e di tutte le classi sociali, da Jodo stesso e ai suoi parenti più cari, dall'ultimo straccione ai membri dell'esecutivo messicano.
Capitava di tutto, giovani disperati perchè non trovavano lavoro, uomini in preda al panico per l'incipiente calvizia fino a casi drammatici di tumori o mille altre malattie.
Jodo vedeva in quella vegliarda, imbrogliona o santa che fosse, qualcosa di decisamente particolare, un' energia superiore che emanava continuamente, la considerava portatrice di un talento speciale.
Quello più evidente era di azzeccare sempre il problema e la malattia presente nel corpo di chi le stava di fronte, ti scandagliava dritto sino all'anima senza mancare mai un solo colpo.
Il suo modus operandi consisteva nel dare vita propria alle malattie, come fosseroanimali ripugnanti e orrendi, da schiacciare come scarafaggi. In questo modo l'invisibile compariva nel regno dei mortali, diventando visibile e quindi affrontabile.
Inscenava, esattamente come faceva Jodo con i suoi folli spettacoli, delle pantomime drammatiche e a volte raccapriccianti, usando, per le sue terapie, un linguaggio simbolico  non convenzionale, che la mente logico analitica non era in grado di afferrare. Infatti lasciava sempre di stucco il diretto interessato che non capiva il senso e il motivo di quelle ricette fantasiose.
In certi casi inscenava vere e proprie operazioni chirurgiche: Jodo ammette di non aver mai capito se autentiche, come fosse rapito dall'atmosfera magica che permeava quei momenti, dove il paziente di turno sentiva davvero i tagli, il dolore e l' asportazione di “un quid” che si palesava in masse sanguinolente e palpitanti. Come se i problemi, le paure e i traumi  di ognuno si ingarbugliassero e annodassero fino a produrre una vera e propria massa infetta nel nostro corpo.Un vero e proprio gomitolo di nodi irrisolti.
Non mancano “estrazioni” grottesche di peni ansimanti o feti morti e imprigionati nell'utero che avvelenano il corpo della madre…
I numerosissimi casi elencati dallo scrittore meriterebbero un film o un libro tutto loro, ne cito giusto uno: cosa pensate che la nostra Pachita abbia consigliato ad un giovane disoccupato che si lamentava della sua vita? Semplice: tenere sotto il suo letto, per un mese, il pitale pieno delle sue urine...
Ovviamente non voglio svelarvi il significato di una “medicina” del genere, andate a scoprilo!

In ogni caso Jodo rivela che non volle mai ricevere il dono da Pachita per continuare le sue orme perchè quella tradizione non l'ha mai sentita del tutto sua. L'ha appresa, l'ha osservata ma alla fine si è sempre e comunque definito occidentale, e tale voleva rimanere.
Anzi, considera impossibile per il nostro tipo di cultura calarci nei panni di uno sciamano tradizionale, non solo è impossibile, ma non sarebbe nemmeno adatto a noi.
Da quei popoli tribali si deve prendere e apprendere quel tanto che abbiamo perduto a causa di secoli di capitalismo e razionalismo perverso, per poi andare oltre.
Dice bene Vimala Thakar nel suo saggio Ego: i popoli nomadi e cacciatori hanno un rispetto ed una connessione intima con la terra e la natura, riescono a predire con giorni di anticipo quando pioverà, possiedono capacità istintive che in noi si sono affievolite se non del tutto perse ma non possiamo permetterci di tornare indietro di millenni a scimmiottare quelle genti, la nostra mente, i nostri corpi, tutti i nostri corpi, sono radicalmente diversi e hanno intrapreso ormai un'altra strada.
"Non possiamo tornare alla vita primitiva.Non possiamo tornare indietro dalle complessità del livello concettuale alla cruda semplicità del livello percettivo.Da una strumento diventato ricco e sofisticato, il cervello, non possiamo tornare all'ingenua vita istintiva delle popolazioni tribali." 
 
Jodorowsky, smarcandosi dalla mitica Pachita dopo un  certo periodo di apprendistato, vuole dirci che si è semplicemente posato come ape, di fiore in fiore, per suggere le infinite sfumature del dolce nettare dell'Anima ovunque ne percepisse il profumo, rielaborando costantemente tutto lo scibile appreso in giro per il mondo nel grande calderone della sua proverbiale creatività.
E quale stregone intento a mescolare quel potpourri di esperienze e tradizioni così distanti l'una dall'altra ecco che  fa finalmente comparire la pozione tanto attesa : la Psicomagia.
Il nostro psicomago non è mai stato nè un medico nè un uomo di scienza, eppure la sua più grande ambizione si è rivelata essere quella di alleggerire le sofferenze umane, di aiutare il prossimo con le doti che possedeva.
Elabora dunque una teoria, ma soprattutto una pratica, peculiare e inedita, che attinge al suo vastissimo repertorio artistico e spirituale. Il vocabolario che userà, il linguaggio delle dimensioni interiori dell'uomo, è in gran parte attinto da Pachita.
Come novello Ippocrite, ridefinisce i canoni della medicina, scolpendo a caratteri cubitali il primo fondamentale “comandamento”:
La guarigione non può avvenire tramite la scienza, solo l'arte può davvero curare.

Per giungere nell'inconscio della persona, dove risiedono le veritàpiù profonde dei suoi mali, non c'è alcun linguaggio logico razionale che tenga.
La medicina allopatica, a parte banali problematiche meccaniche come un osso rotto, tende a curare solamente i sintomi senza raggiungere mai la causa. E' superficiale e semplicistica.
Della stessa cosa, in un certo senso, si lamenterà Hillman nel suo Il codice dell' anima, dove denuncerà, con parole sagaci e critiche affilate, la psicologia più tradizionale che è del tutto incapace di raggiungere i reami più sacri e profondi dell'uomo. L'invisibile, in quanto tale, viene bellamente ignorato. Il concetto di Anima è censurato da ogni testo accademico e manuale pratico, con il risultato di infarcire il paziente di tanti bei bon bon lucidi e colorati...
Ecco allora che Jodo elabora una terapia basata sull'arte e la poesia. Ma ci mette in guardia dal tipo di arte che dovremmo avvicinare. La domanda da porsi è: cosa ci trasmette quel quadro o quel romanzo?
Jodo infatti disdegna quelle opere che si limitano a raccontarci con tanta bravura stilistica lo squallore che ci circonda oppure a rappresentare le paranoie e le depressioni dell' artista, come avviene per esempio con Kafka.
Io mi permetto di aggiungere che anche per la pittura o il cinema è così: pensate alle porcherie che continuamente ci fanno passare per opere d'arte. Quale lode si può intessere a un disgraziato Andy Warhol, persona profondamente disturbata, che proprio per i suoi disagi psichici e le sue fragilità interiori è stato scelto e manovrato come una marionetta da loschi broker-speculatori ?
E' stato fagocitato in un gioco più grande di lui creato a tavolino, la leggendaria figura di Warhol è una totale montatura, o se preferite na immensa sola. Avete presente quello che accade nel film Una poltrona per due? Ecco, la stessa cosa.
Che merito avrà mai un'artista che scimmiotta il grigiume imperante, che possiede la vista ma non la visione? Che non sa ispirare i cuori degli uomini? Che non è capace di levare alto il grido di battaglia, come condottiero che alza la sua penna o pennello a mò di spada, per condurre alla vittoria della Bellezza e fomentare il sacro ardore delle sue truppe?

Ma torniamo pure al nostro genio cileno. Il suo operare taumaturgico, gliene va dato atto, pur se continuato per decenni nelle più svariate parti del mondo e con le più disparate tecniche, non è mai diventato un'attività commerciale e remunerativa, ma l'ha sempre considerato un vero e proprio servizio al benessere collettivo.
L'unica formula di pagamento richiesta è una rapporto epistolare dove il “paziente”, dopo aver descritto sin nei minimi particolari la sua storia pregressa e il suo disagio attuale, si impegna a scrivere in dettaglio un resoconto di come ha messo in pratica la “cura” e cosa è avvenuto da quel momento in poi.
In questo modo Jodo si trova oggi ad avere un archivio sterminato di “casi clinici” che diventano il cuore nevralgico di tutto il libro.
Egli dimostra, nelle disamine dei variegati casi umani incontrati, un'intuizione penetrante, esattamente come la vecchia Pachita e l'ispirazione sempre viva e fluente per trovare l'atto psicomagico adeguato da far compiere al paziente di turno.
E' bella questa catena umana, di mani umane che si  stringono, si sorreggono e si sostengono, che si rinsalda ad ogni nascita e ad ogni morte, mani e uomini consapevoli di essere nella stessa barca, dove chi ha ricevuto per primo donerà per primo al prossimo. Una trasmissione di corrente ininterrotta, da secoli e millenni, che non si ferma mai, nemmeno davanti a quei sacrifici supremi, consapevoli o meno, che legano con un filo tanto più sottile quanto più indistruttibile personaggi che apparentemente non hanno nulla in comune tra loro se non un'idea più grande di loro stessi e un amore rovente per l'umanità intera. Solo con questa chiave di lettura possiamo unire Un Gesù con un Falcone, un Pasolini con un Mattei o un Olivetti, tanto per restare nel nostro piccolo spazio italico.
Cade allora a pennello questa bellissima frase di Jodorowsky che desidero utilizzare come chiusura
L'immortalità si raggiunge esaltando e difendendo l'umanità.

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