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venerdì 10 luglio 2015

Fontanili, marcite, mucche felici e formaggi perduti. Come far attecchire la bellezza nell'agricoltura assassina.


Amando la natura in tutti i suoi aspetti, in particolar modo quella del mio territorio, sto indagando da tempo le emergenze ambientali e paesaggistiche del cremonese.
Come molti sapranno la zona più a Nord ( Nord-Ovest) della nostra provincia, quella verso Crema per intenderci, rientra in un'area detta fascia a fontanili.
Ovvero un lungo lembo di terra che percorre tutta la Pianura Padana, ma che si espande in altezza solo per alcuni chilometri, presso il quale scaturiscono dal terreno, disseminate per tutta la campagna, miriadi di risorgive di acque pure, molto ossigenate e fresche, che poi l'uomo ha imparato, nei millenni, a gestire ed utilizzare per fini agricoli.

Questo fenomeno avviene al contatto tra l'alta e la bassa pianura, dove si passa da un substrato permeabile, ricco di sassi e ghiaie di medie-grosse dimensioni a strati impermeabili, come quelli argillosi, che obbligano le acque sotterranee, provenienti dalla fascia alpina, ad affiorare in superfice.
La grande abbondanza di acque di ottima qualità, tipiche di tutto quel territorio che nel nostro caso va, grossomodo, da Genivolta, con le sue Tombe Morte, sino a Treviglio, ha creato, nei secoli passati, delle eccellenze di “architettura agricola”( scrivo architettura e non ingegneria perchè aggiungono, oltre all'utilità, un'indiscutibile qualità estetica al territorio e all'ambiente) molto raffinate e particolari, ovvero le cosiddette marcite.
La pratica delle marcite risale al medioevo e più precisamente al  XII sec., per opera dei monaci certosini di Chiaravalle, artefici, nello stesso periodo, di un'altra grande invenzione: il  formaggio Grana/Parmigiano.
Come presto vedremo tra le due innovazioni esiste uno stretto legame.
Pur se sappiamo che le marcite vennero introdotte dai certosini per bonificare un terreno paludoso e malsano, ci sfugge ancora l'etimologia del termine, come dimostrano le varie interpretazioni esistenti: c'è chi ritiene che derivi da Marzo, mese del primo sfalcio dell'anno o dal fatto che con l'ultimo taglio, a Dicembre, non si raccogliesse l'erba ma si lasciasse marcire sopra i campi, a mò di fertilizzante.

Ma in cosa consiste esattamente una marcita? Si tratta di un normale campo adibito a prato per la fienagione, con la differenza che al suo interno è solcato da piccoli fossatelli perennemente ricolmi d'acqua, quando possibile proveniente dai fontanili, che viene fatta tracimare sulla copertura vegetale, mantenendola sempre umida e rigogliosa.


Le acque utilizzate, che scaturiscono dal sottosuolo, anche in pieno inverno mantengono una temperatura mai inferiore ai 6 °, il che produce due reazioni molto interessanti.
Per prima cosa l'erba continua a crescere e ad essere florida in tutti le stagioni e in tutti i mesi dell'anno, anche in pieno inverno, permettendo il doppio del raccolto rispetto ai campi tradizionali: invece dei canonici 4/5 tagli si arriva tranquillamente a 8/9.
Inoltre, quando tutto il panorama circostante sarà invaso da neve e apparirà bianco fino all'orizzonte, la marcita spiccherà come una sgargiante macchia di verde intenso, grazie alle temperature miti delle acque utilizzate che mai andranno a gelare.

Le marcite sono state per secoli un vanto, finchè sono durate, di questa abbruttita Pianura Padana, un fiore all'occhiello rinomato in tutto il mondo: venivano da mezza Europa e persino dall'America per vedere questa pratica così peculiare e virtuosa, sia per l'uomo che per l'ambiente.
. Era un endemismo, un fenomeno d.o.p, tipico ed esclusivo delle province di Milano,Lodi e Cremona.
 Dal punto di vista floristico, le marcite sono equiparabili a prati umidi ed ospitano un' abbondanza e varietà tale di fiori rari e caratteristici da tener quasi testa ai ridenti pascoli alpini.
Ma l'avidità dell'uomo, come al solito, ha rovinato tutto: l'ingordigia di produrre quantitativi sfrenati di latte, intollerabili per un ciclo armonioso della natura, ha spazzato via quanto restava di bello, sano e genuino nella nostra agricoltura.
E' rimasto giusto qualche appezzamento “didattico”, lasciato a testimonianza del passato, nel parco agricolo Milano sud.
Le cause del declino e dell'abbandono sono da ricercarsi nell'antieconomicità di tale pratica una volta che l'agricoltura è entrata nelle spire del capitalismo più vorace: mezzi meccanici non compatibili, richiesta di manodopera eccessiva, utilizzo di mangimi ipercalorici, ipervitaminici, ipertutto al posto del fieno, chiusura ed estinzione dei fontanili per mancanza di manutenzione.

Ma siamo sicuri che l'attuale situazione di produzione sfrenata, che punta a quantità elevatissime a discapito della qualità, sia poi così benefica per il consumatore finale?

Ecco un brevissimo riassunto sulla degenerazione attuale della qualità del latte e dei formaggi che noi consideriamo come chissà quale prelibatezza da esportare nel mondo, ma mi faccia il piacere mi faccia!


...Gran parte (quelli onesti) dei caseifici ammettano con tristezza che ormai é diventato molto difficile produrre una buon formaggio visto la scarsa qualitá e quantitá dei lattobacilli nel latte fornito dai contadini. Quando poi senti i veterinari in carico per le stesse stalle ti spiegano che la maggior parte delle mucche ormai sono acidificate a causa del silaggio mal fermentato ( si fanno fermentare nei silos i trinciati vegetali, ovvero il foraggio per il bestiame n.d.s)e per la poca attenzione dei contadini "moderni" all'igiene microbiologica nelle stalle.
Se poi parli con gli agronomi ti dicono che non c'é nulla da meravigliarsi visto l'impiego di erbicidi (sopratutto impiegato a secchi per il mais -> silaggio), anticrittogamici e concimi sintetici usati sui campi di oggi, oltre al letame derivante da mucche malate perché in continua acidosi!
Tratto da :
http://www.ciboecibo.it/Sani,-buoni-e-etici/Cosa-mangiamo/Grana-Padano-o-Parmigiano-Reggiano-/ca_1829.html


Non credo nemmeno ci sia bisogno di rimarcare l'orrenda violenza e abuso subito da ogni singola vacca, le cui sofferenze, malesseri, dolori e disperazioni, per via di un chimismo nemmeno troppo sottile, vanno a finire dritte dritte nel latte che beviamo e nei formaggi che mangiamo.
Voglio invece concentrarmi su un altro dato di fatto: il cibo che viene dato a ste povere bestie, per produrre il Grana Padano delle nostre zone, è anni luce più scadente di quello di 60 o 100 anni fa: attualmente le norme del Consorzio di tutela prevedono l'utilizzo di cibi magari altamente performanti in termini di litri di latte prodotto ma altrettanto poveri sotto un profilo di varietà e qualità: il regolamento permette agli allevatori di utilizzare, per mera convenienza economica ( leggasi ingordigia), dei prodotti, come mais e soia, che non esistevano nemmeno in passato della dieta vaccina.
E' inutile che ci vengano a raccontare su wikipedia che:

tra i foraggi ammessi più rappresentativi troviamo i foraggi freschi o affienati da prati stabili o artificiali o sfalciati, che fin dal Medioevo costituivano la base dell'alimentazione. A questi si sono aggiunti gli insilati di trinciato di mais o di altre foraggere, i fieni silo. Tra i mangimi ammessi spiccano i cereali e la soia.
fonte: Consorzio tutela del marchio Grana Padano

Ci sono dei grossolani errori sopra riportati, evidentemente voluti per fini commerciali  e propagandistici dalla psico-setta degli allevatori a marchio dop ( Diciamo Oltranzose Palle, non quelle di fieno.)

Chiunque attraversi giornalmente le desolate lande della pianura padana, o sarebbe meglio chiamarla depressione padana(?), si accorgerà che di prati, senza parlare di prati stabili( resistono stoicamente nell'areale di produzione del Parmigiano per fortuna) che non esistono nemmeno più, ce ne sono ben pochi.



Credo che le due immagini sottostanti parlino da sole, la differenza tra le due "diete" è abissale

monocultura  a mais, il cui tranciato è alla base del Grana Padano



 
Bellissimo prato incolto, posti del genere attualmente si riescono a trovare quasi esclusivamente in collina.

































Forse loro per prati intendono quei tappeti tutti uguali, come un campo da calcio, di erba medica!
Forse i signorotti che ragionano ancora in termini feudali, fanno finta di non accorgersi di quanti aromi, gusti,  retrogusti e profumi si siano persi per sempre.
(Ammetto che questa del gusto perduto è un pò una mia fissa, sono affascinato dalla ricchezza che i nostri nonni hanno potuto apprezzare senza nemmeno accorgersi di quanto erano fortunati...certo c'era la guerra, ma esistevano, giusto per fare un solo esempio, decine e decine di pesci d'acqua dolce diversi, per non parlare di gamberi e gamberetti di fiume....un immenso patrimonio non solo biologico ma anche gastronimico perso per sempre.Quanti sapori, quante fritture sublimi ormai lontani ricordi...)
Un campo incolto invece, un vero prato stabile o comunque lavorato con certi crismi, magari anche biologici, ospita sulla sua superficie decine e decine di piante e fiori diversi, ognuno con le sue specifiche qualità e sapori, che andranno inevitabilmente ad arricchire il prodotto finale.

Quanti prati vedete in giro ancora ricchi di fiori sgargianti? Esatto! Quelli di certe aiuole spartitraffico hanno un indice qualitativo migliore di tutti gli altri coltivati!
Per fortuna i prati si sono mantenuti di più dove si produce il Parmigiano Reggiano, come per esempio nella vicina provincia di Parma ma da noi è un vero e proprio disastro: legioni e legioni di piante di mais tutte uguali, come soldatini da sacrificare al fronte senza ritegno, vera e propria carne da macello.

L'alimentazione delle vacche odierne è di infima qualità rispetto a quella del passato, consta, quando va bene, di 3-4 essenze vegetali, coltivate intensivamente, ovvero senza tollerare la presenza di altre erbe all'interno del campo...un'innaffiata di veleni e liquami provienenti da bestie mediamente tutte malmesse... e via, il pranzo è servito!

Purtroppo anche per quanto riguarda i prati si assiste ad un radicale impoverimento di essenze presenti.
Tendono ovvero a riempirsi di una o poco più specie di graminacee che ricoprono tutto l'appezzamento senza lasciar spazio ad altre famiglie con fiori più appariscenti.
Anche in questo caso, impoverimento di biodiversità, di colori, di bellezza.
Non a caso il regolamento per la produzione del Parmigiano Reggiano è molto più severo rispetto a quello del Grana e sicuramente più attento alla qualità finale del prodotto, come si evince dalle norme che qui riporto:

Nella razione giornaliera, almeno il 50% della sostanza secca dei foraggi deve essere apportata da fieni.
Tratto dal diciplinare di produzione del formaggio Parmigiano-Reggiano.
Questa è una differenza fondamentale tra Grana e Parmigiano, così come l'utilizzo del conservante lisozima, inserito soltanto nel Grana  per motivi non molto rassicuranti (vedi approfondimenti sotto).

Chi volesse approfondire il discorso Parmigiano VS Grana può leggersi quest'ottimo articolo:




Per quanto riguarda l'importanza del fieno, perchè, secondo voi, da sempre il maggese è il taglio più ambito?

Fieno di primo taglio: detto maggengo, perché viene raccolto in maggio (ma anche in giugno), è il fieno migliore;
  • fieno di secondo taglio: detto agostano;
  • fieno di terzo taglio: detto settembrino o grumereccio o terzuolo è quello con qualità nutritive inferiori.
https://it.wikipedia.org/wiki/Fieno

Perchè Maggio è il picco massimo della Primavera, il momento in cui la maggior parte dei fiori sboccia, ognuno con le sue qualità peculiari che filtreranno sottilmente nella qualità finale del latte.
Il gusto e il profumo di un formaggio dipendono da tante cose ma innanzitutto dalle particolari sostanze, olii essenziali e  molecole che ogni foglia, stelo, petalo, granello di polline contengono in quantita e qualità diverse.

Infine, spiegata l'effettiva superiorità del Parmigiano Reggiano sul Grana Padano, vorrei fare una proposta “immaginativa” ai produttori locali, cui troppo spesso manca una visione d'insieme a più largo respiro, affinchè anche il Grana possa recuperare lo smalto perduto e ritornare ad essere un'eccellenza autentica e non solo a proclami.
E' certamente una piccola, ingenua utopia, ma forse i tempi sono maturi per una presa di coscienza e un cambiamento radicale:

Da una mail di un produttore di formaggi biologici.

Molti ci chiedono se la fine del regime delle quote latte è, o sarà,  un
danno per la nostra agricoltura.

La risposta che mi sento di dare  è no.

Nei 30 anni  in cui in Europa è rimasto in vigore il sistema produttivo
regolamentato dalle quote-latte,   in Italia hanno chiuso 4 aziende agricole
;su 5. Una enormità!

Il sistema era stato introdotto perche la Germania aveva eccedenze di
produzione lattiera e doveva essere fermata la crescita produttiva tedesca.

Con il sistema delle quote-latte la  Germania ha raggiunto il suo obiettivo
fermando la sua crescita produttiva di latte ed ha al contempo incentivato
la sua industria di trasformazione a tal punto che oggi i tedeschi sono
diventati i primi produttori ed esportatori di formaggi d'Europa (non
l'Italia o la Francia).
Il blocco dell'aumento della produzione di latte imposto in questi anni
dall'Europa
con il regime delle quote-latte ha spinto alcuni paesi a privilegiare
l'aspetto
qualitativo o di sostenibilità ambientale ed economica. Uno di questo paesi
è l'Austria che negli ultimi 30 anni ha puntato sulla produzione di latte
biologico.
Sempre in questi medesimi 30 anni, l'Italia ha puntato invece sulla
produzione intensiva del mais per produrre latte a prezzi sempre più bassi e
concorrenziali.
Il risultato è stato di aumentare la dimensione delle aziende agricole, ma
non di renderle sostenibili..per questo hanno chiuso 4 aziende su 5 ovvero
tutte quelle piccole aziende familiari che costituivano la spina dorsale
della nostra economia agricola.
In un mercato libero e non più vincolato alle quote, probabilmente molte
aziende agricole valuteranno di passare al biologico o a sistemi più
naturali di produzione, per lo meno questo è quello che noi ci auguriamo.

Questo ovviamente potrà avvenire solo se l'Italia (come Stato) si doterà di
un progetto di valorizzazione ed incentivazione di questi sistemi
 produttivi.
Situazione ideale di rispetto delle basi essenziali della vita...
 Ma torniamo all'utopia a cui accennavo poc'anzi.
Non ci sarebbe forse lo spazio sul mercato per un prodotto di nicchia di altissima qualità che possa vantare le straordinarie virtù che tenterò di elencare qui sotto?

Ecco dunque una sorta di manifesto dell'allevatore illuminato:

Puntare su un marchio biologogico ed etico, animal friendly, che non rappresenti solo un eccellente prodotto " a tiratura limitata" da vendere ma anche uno stile di vita alternativo ed eco-compatibile.
Ciò comporta evidentemente una minor produzione complessiva, ma anche di Ferrari se ne fanno un tantino meno rispetto alle Panda!
Rivolgersi quindi a un mercato piccolo ed esigente, creare un brand del tipo "millenary tradition", " a Middle Ages practice rediscovered ". Citare il primo manoscritto in cui si parla del Grana, vantarsi di dire: noi esistiamo since 1169...
Il nostro latte non è fatto solo da mucche: ma da miriadi di farfalle variopinte, api e bombi operosi, fiori profumati e liberi di esprimere la loro bellezza. Le nostre sono mucche felici: pascolano all'aperto, sono libere di muoversi, assorbire la luce del sole. Non vengono rinchiuse in gabbie nè strizzate a ritmi folli e insostenibili.
I vitellini non sono sottratti alle loro madri, ma li si lascia insieme, come natura vuole.
Utilizziamosolo acque speciali di fonte, di eccellente qualità, provenienti da risorgive e fontanili, piccoli e delicati monumenti naturali che andrebbero protetti.
Nei nostri campi non si uccide la vita ma la si moltiplica e protegge, per il nostro bestiame utilizziamo prati variopinti con i più bei fiori di tutta la Pianura Padana.
Abbiamo ripreso una tecnica millenaria che era caduta nell'oblio perchè troppo onerosa e non redditizia ma che conteneva tutta la saggezza per mantenere il delicato equilibrio dell'ecosistema che ci circonda.
Abbiamo ridato vita ai veri prati stabili e alle marcite, scomparsi ovunque.


Sono recentemente stato nella zona di Castelmagno (Cn), dove si produce l'omonimo formaggio, uno tra i più costosi, rinomati e obiettivamente buoni del panorama nazionale e internazionale.
Secondo voi cosa lo rende così speciale? Bhè, ovvimanete l'aria e l'acqua di alta montagna sono catalizzatori eccezionali ma le erbe e i fiori che le vacche ruminano in quei pascoli secondo me fanno davvero la differenza. Sopra il Santuario di San Magno ho osservato i prati e i pascoli più belli che la mia memoria possa ricordare. Un vero incanto di colori e forme inebrianti. Dai rari gigli bianchi, alle orchidee bicolor, un'esplosione che trapela una vitalità più unica che rara. Ho perso persino il conto dei generi e delle specie incontrate, moltissime delle quali a me sconosciute!
foto esemplificativa di un pascolo alpino tra Cuneo e la Liguria: http://www.quotazero.com/forum/viewtopic.php?f=40&t=11178

Ecco come la bellezza diventa scientifica! Ecco come la scienza e la tecnica si abbelliscono!
Purtroppo il vil denaro ha infettato tutto: la bellezza della campagna, la dignità e il rispetto degli animali allevati fino ad arrivare alla nostra stessa salute.
Vi siete mai chiesti perchè così tante persone sono diventate insofferenti al lattosio?
I nostri genitori o nonni soffrivano forse di questo disturbo?
Purtroppo il latte è diventato una SCHIFEZZA IMMONDA!
E con la scusa di far tutto, o quasi, a norma di legge, nessuno parla  di questi problemi ai consumatori, che sono costretti ad arrangiarsi da soli e capire sulla loro pelle che moltissimo del cibo che legalmente si vende sul mercato è VELENO, allora ecco spiegato perchè sempre più grandi fette della popolazione diventano vegetariane e vegane.
E  ti credo, SI TRATTA DI SOPRAVVIVENZA! NON E' UNA MODA PASSEGGERA, E' UNA TENDENZA EVOLUTIVA!

giovedì 9 luglio 2015

Green


Green, green, green:
it's the sound of the crickets
in the moonlight of my dreams.

"Reflessione": Psicomagia, un libro di A. Jodorowsky. parte II di II



A metà strada tra una recensione e una riflessione, ultima parte.

L'ulteriore e forse decisivo passo che portò Jodo ad elaborare, alcuni anni più tardi, le basi della psicomagia ( non temete, ci arriviamo), fu l'incontro e la frequentazione di una grande curandera messicana, la celebre Pachita.
le modalità dell'incontro profumano già di soprannaturale: sembra uno di quegli avvenimenti predestinati, un incrocio-incontro ineludibile. Lui va a trovarla incuriosito dalla fama che la precede, vuole conoscerla  e  addirittura osa farle la proposta di diventare suo assistente, lei accetta, lo benedice e gli offre un dono materializzato dal nulla, lasciando sbigottiti tutti gli astanti per il raro privilegio concessogli.
Jodo inizierà così un periodo a stretto contatto con la guaritrice, che lo immergerà in quella che lui stesso chiama la dimensione onirica del Messico, dove tutto si mescola tra realtà è fantasia, tra sogno e lucidità. Un universo di profumi speziati inscindibili dall'olezzo più nauseabondo di escrementi animali, una giostra di visioni nitidissime e percezioni ultraterrene inchiodate al muro di carne e lacrime polverose disseminate per ogni strada.
Ormai lo sappiamo, quando Jodo parla della sua vita e degli incontri straordinari che l'hanno costellata, è come se ci proiettasse in uno dei suoi film o fumetti: tutto prende una piega surreale, incredibile, che fa gridare al miracolo ad ogni pagina.
Non so in quanti crederanno ciecamente agli avvenimenti “impossibili” riportati a profusione, che lasciano il lettore quasi sazio e anestetizzato da tante e strabordanti  meraviglie, eppure il bello è che Jodo cita miracoli e fatti incredibili con una nonchalance pazzesca come fossero fatti di ordinaria amministrazione, cose di tutti i giorni.
E per lui lo sono davvero, percepisci chiaramente che ha toccato con mano, che non ha bisogno di mentire, che la sua vita è intrisa e disseminata di miracoli, come in un abbagliante e abbacinante carnevale metafisico e al contempo fisicissimo.
Vive tutto questo con tale spontaneità che non si cura nemmeno dell'impatto che potrebbe avere sugli altri. Te lo racconta come se nulla fossa, con semplicità e ingenuità fanciullesca.
E lo stesso dicasi per le mirabolanti imprese di Pachita: talmente poco gli importa di convincerti della genuinità o meno della sua magia che lui stesso ammette di non avere una risposta definitiva, dice soltanto: poco importa che sia magia vera o l'illusione di una grande prestigiatrice, quel che importa è l'effetto che scatenava sui pazienti, una moltitudine e di tutte le classi sociali, da Jodo stesso e ai suoi parenti più cari, dall'ultimo straccione ai membri dell'esecutivo messicano.
Capitava di tutto, giovani disperati perchè non trovavano lavoro, uomini in preda al panico per l'incipiente calvizia fino a casi drammatici di tumori o mille altre malattie.
Jodo vedeva in quella vegliarda, imbrogliona o santa che fosse, qualcosa di decisamente particolare, un' energia superiore che emanava continuamente, la considerava portatrice di un talento speciale.
Quello più evidente era di azzeccare sempre il problema e la malattia presente nel corpo di chi le stava di fronte, ti scandagliava dritto sino all'anima senza mancare mai un solo colpo.
Il suo modus operandi consisteva nel dare vita propria alle malattie, come fosseroanimali ripugnanti e orrendi, da schiacciare come scarafaggi. In questo modo l'invisibile compariva nel regno dei mortali, diventando visibile e quindi affrontabile.
Inscenava, esattamente come faceva Jodo con i suoi folli spettacoli, delle pantomime drammatiche e a volte raccapriccianti, usando, per le sue terapie, un linguaggio simbolico  non convenzionale, che la mente logico analitica non era in grado di afferrare. Infatti lasciava sempre di stucco il diretto interessato che non capiva il senso e il motivo di quelle ricette fantasiose.
In certi casi inscenava vere e proprie operazioni chirurgiche: Jodo ammette di non aver mai capito se autentiche, come fosse rapito dall'atmosfera magica che permeava quei momenti, dove il paziente di turno sentiva davvero i tagli, il dolore e l' asportazione di “un quid” che si palesava in masse sanguinolente e palpitanti. Come se i problemi, le paure e i traumi  di ognuno si ingarbugliassero e annodassero fino a produrre una vera e propria massa infetta nel nostro corpo.Un vero e proprio gomitolo di nodi irrisolti.
Non mancano “estrazioni” grottesche di peni ansimanti o feti morti e imprigionati nell'utero che avvelenano il corpo della madre…
I numerosissimi casi elencati dallo scrittore meriterebbero un film o un libro tutto loro, ne cito giusto uno: cosa pensate che la nostra Pachita abbia consigliato ad un giovane disoccupato che si lamentava della sua vita? Semplice: tenere sotto il suo letto, per un mese, il pitale pieno delle sue urine...
Ovviamente non voglio svelarvi il significato di una “medicina” del genere, andate a scoprilo!

In ogni caso Jodo rivela che non volle mai ricevere il dono da Pachita per continuare le sue orme perchè quella tradizione non l'ha mai sentita del tutto sua. L'ha appresa, l'ha osservata ma alla fine si è sempre e comunque definito occidentale, e tale voleva rimanere.
Anzi, considera impossibile per il nostro tipo di cultura calarci nei panni di uno sciamano tradizionale, non solo è impossibile, ma non sarebbe nemmeno adatto a noi.
Da quei popoli tribali si deve prendere e apprendere quel tanto che abbiamo perduto a causa di secoli di capitalismo e razionalismo perverso, per poi andare oltre.
Dice bene Vimala Thakar nel suo saggio Ego: i popoli nomadi e cacciatori hanno un rispetto ed una connessione intima con la terra e la natura, riescono a predire con giorni di anticipo quando pioverà, possiedono capacità istintive che in noi si sono affievolite se non del tutto perse ma non possiamo permetterci di tornare indietro di millenni a scimmiottare quelle genti, la nostra mente, i nostri corpi, tutti i nostri corpi, sono radicalmente diversi e hanno intrapreso ormai un'altra strada.
"Non possiamo tornare alla vita primitiva.Non possiamo tornare indietro dalle complessità del livello concettuale alla cruda semplicità del livello percettivo.Da una strumento diventato ricco e sofisticato, il cervello, non possiamo tornare all'ingenua vita istintiva delle popolazioni tribali." 
 
Jodorowsky, smarcandosi dalla mitica Pachita dopo un  certo periodo di apprendistato, vuole dirci che si è semplicemente posato come ape, di fiore in fiore, per suggere le infinite sfumature del dolce nettare dell'Anima ovunque ne percepisse il profumo, rielaborando costantemente tutto lo scibile appreso in giro per il mondo nel grande calderone della sua proverbiale creatività.
E quale stregone intento a mescolare quel potpourri di esperienze e tradizioni così distanti l'una dall'altra ecco che  fa finalmente comparire la pozione tanto attesa : la Psicomagia.
Il nostro psicomago non è mai stato nè un medico nè un uomo di scienza, eppure la sua più grande ambizione si è rivelata essere quella di alleggerire le sofferenze umane, di aiutare il prossimo con le doti che possedeva.
Elabora dunque una teoria, ma soprattutto una pratica, peculiare e inedita, che attinge al suo vastissimo repertorio artistico e spirituale. Il vocabolario che userà, il linguaggio delle dimensioni interiori dell'uomo, è in gran parte attinto da Pachita.
Come novello Ippocrite, ridefinisce i canoni della medicina, scolpendo a caratteri cubitali il primo fondamentale “comandamento”:
La guarigione non può avvenire tramite la scienza, solo l'arte può davvero curare.

Per giungere nell'inconscio della persona, dove risiedono le veritàpiù profonde dei suoi mali, non c'è alcun linguaggio logico razionale che tenga.
La medicina allopatica, a parte banali problematiche meccaniche come un osso rotto, tende a curare solamente i sintomi senza raggiungere mai la causa. E' superficiale e semplicistica.
Della stessa cosa, in un certo senso, si lamenterà Hillman nel suo Il codice dell' anima, dove denuncerà, con parole sagaci e critiche affilate, la psicologia più tradizionale che è del tutto incapace di raggiungere i reami più sacri e profondi dell'uomo. L'invisibile, in quanto tale, viene bellamente ignorato. Il concetto di Anima è censurato da ogni testo accademico e manuale pratico, con il risultato di infarcire il paziente di tanti bei bon bon lucidi e colorati...
Ecco allora che Jodo elabora una terapia basata sull'arte e la poesia. Ma ci mette in guardia dal tipo di arte che dovremmo avvicinare. La domanda da porsi è: cosa ci trasmette quel quadro o quel romanzo?
Jodo infatti disdegna quelle opere che si limitano a raccontarci con tanta bravura stilistica lo squallore che ci circonda oppure a rappresentare le paranoie e le depressioni dell' artista, come avviene per esempio con Kafka.
Io mi permetto di aggiungere che anche per la pittura o il cinema è così: pensate alle porcherie che continuamente ci fanno passare per opere d'arte. Quale lode si può intessere a un disgraziato Andy Warhol, persona profondamente disturbata, che proprio per i suoi disagi psichici e le sue fragilità interiori è stato scelto e manovrato come una marionetta da loschi broker-speculatori ?
E' stato fagocitato in un gioco più grande di lui creato a tavolino, la leggendaria figura di Warhol è una totale montatura, o se preferite na immensa sola. Avete presente quello che accade nel film Una poltrona per due? Ecco, la stessa cosa.
Che merito avrà mai un'artista che scimmiotta il grigiume imperante, che possiede la vista ma non la visione? Che non sa ispirare i cuori degli uomini? Che non è capace di levare alto il grido di battaglia, come condottiero che alza la sua penna o pennello a mò di spada, per condurre alla vittoria della Bellezza e fomentare il sacro ardore delle sue truppe?

Ma torniamo pure al nostro genio cileno. Il suo operare taumaturgico, gliene va dato atto, pur se continuato per decenni nelle più svariate parti del mondo e con le più disparate tecniche, non è mai diventato un'attività commerciale e remunerativa, ma l'ha sempre considerato un vero e proprio servizio al benessere collettivo.
L'unica formula di pagamento richiesta è una rapporto epistolare dove il “paziente”, dopo aver descritto sin nei minimi particolari la sua storia pregressa e il suo disagio attuale, si impegna a scrivere in dettaglio un resoconto di come ha messo in pratica la “cura” e cosa è avvenuto da quel momento in poi.
In questo modo Jodo si trova oggi ad avere un archivio sterminato di “casi clinici” che diventano il cuore nevralgico di tutto il libro.
Egli dimostra, nelle disamine dei variegati casi umani incontrati, un'intuizione penetrante, esattamente come la vecchia Pachita e l'ispirazione sempre viva e fluente per trovare l'atto psicomagico adeguato da far compiere al paziente di turno.
E' bella questa catena umana, di mani umane che si  stringono, si sorreggono e si sostengono, che si rinsalda ad ogni nascita e ad ogni morte, mani e uomini consapevoli di essere nella stessa barca, dove chi ha ricevuto per primo donerà per primo al prossimo. Una trasmissione di corrente ininterrotta, da secoli e millenni, che non si ferma mai, nemmeno davanti a quei sacrifici supremi, consapevoli o meno, che legano con un filo tanto più sottile quanto più indistruttibile personaggi che apparentemente non hanno nulla in comune tra loro se non un'idea più grande di loro stessi e un amore rovente per l'umanità intera. Solo con questa chiave di lettura possiamo unire Un Gesù con un Falcone, un Pasolini con un Mattei o un Olivetti, tanto per restare nel nostro piccolo spazio italico.
Cade allora a pennello questa bellissima frase di Jodorowsky che desidero utilizzare come chiusura
L'immortalità si raggiunge esaltando e difendendo l'umanità.

martedì 7 luglio 2015

Grace

                      Afrodisia cogitans (Linus, 1792) Cà Fiorana, Cremona.

Cavalieri Scalzi, scudieri del Sole.
Avanguardie celesti insediate sulla Terra.
I vostri sorrisi s'intrecciano, ad ogni schioccar dell'alba,
alle lodi degli uccelli, leggeri come soffi di Murano.
Sacrilegio pensarvi solo richiamo per ronzanti insetti,
disseminar semenza è il più basso dei vostri intenti.
L'intimo mistero delle missive che sbocciano tra voi e il sole è talmente semplice
che sfugge agli sguardi dei preti bianchi da laboratorio.
Loro, i fiori, li notano soltanto il 1 Novembre.

lunedì 6 luglio 2015

"Reflessione": Psicomagia, un libro di A. Jodorowsky. Parte I di II



A metà strada tra una recensione e una riflessione
N.B. In grassetto le frasi citate direttamente dal testo


ALEJANDRO JODOROWSKY, PSICOMAGIA, UNA TERAPIA PANICA, FELTRINELLI, 2014, NUOVA EDIZIONE.



Jodorowsky è un vulcano vivente, toccato da un estro variopinto, artista carismatico ed esplosivo; degno rappresentante di quell'America latina che gli ha dato i natali(Cile) e l'iniziazione ai misteri dell'arte e della spiritualità( Cile e Messico). Classe 1929(!), è un personaggio affascinante e poliedrico che anche a 86 anni suonati è più prolifico di un ventenne e non sembra affatto perdere smalto:
è appena uscito il suo ultimo film/libro La danza della realtà e sta già girando il prossimo!
Anche solo tramite la lettura di Psicomagia riesce ad elettrizzarti con la sua verve e ti contagia con l' incontenibile vitalità che trasuda da ogni poro della sua pelle e da ogni pagina dei suoi libri. Ti trascina in una danza frenetica e sensuale coinvolgendoti sempre e comunque, anche quando vorresti non partecipare e startene a goderti un bicchiere al banco, in santa pace.
Ecco, con lui è impossibile starsene in disparte ad osservare, lui ti vuole vedere in piedi  per spingerti nel mezzo della pista, renderti artefice della tua vita, protagonista e non mera comparsa; matador formidabile, non pretende che tu sia d'accordo con lui e che legga i suoi libri, vuole attivarti e stimolarti, sempre e comunque, portandoti inevitabilmente all'azione.
Anzi, “azione” potrebbe essere la parola chiave di tutto il libro.
Da dove scaturisce questa sua frenesia scalpitante, la sua proverbiale e potente immaginazione, il suo moto apparentemente perpetuo? Senza ombra di dubbio da un talento innato, da un carattere esuberante. Ma è comunque molto interessante apprendere dalle prime pagine del libro l'origine del suo percorso artistico e l'ambiente che l'ha plasmato.
Il Cile, a detta stessa dell'autore, è una nazione il cui suolo ondeggia e trema continuamente, a causa dei frequentissimi movimenti tellurici. Questo influisce poi non così sottilmente sul carattere e la vita dei suoi abitanti, definiti vivacissimi e in qualche modo “folli”.
Questa follia buona, una sorta di stravaganza e originalità tipica cilena, si è incarnata nella sua massima espressione durante un breve periodo magico, un piccolo rinascimento, dove la poesia e la fantasia andarono davvero al potere.
Una vena poetica straordinaria, che negli anni della giovinezza di Jodorowsky
si è materializzata in una vera e propria utopia, impregnando ogni luogo e persona.
Il Cile si è trasformato in quegli anni in un paese incantato e fiabesco.
Ciò si spiega anche grazie alla presenza simultanea in quel paese di eccezionali poeti, dei quali il più famoso, almeno per noi, era senz'altro Neruda.
Potremmo dire, modificando il primo articolo della nostra costituzione, che il Cile è stato, per un periodo limitato ma indimenticabile, uno stato fondato sulla poesia.
I più alti esponenti di quell'arte, ormai tutti veri e propri eroi nazionali, influenzarono profondamente il giovane Jodoroswky , tant'è che egli stesso cita un brano del talentuoso Huidobro, estrapolato da una conferenza tenuta a Madrid. Vale la pena riportare alcune righe emblematiche e ispirate:
 […] Il poeta ci tende la mano per condurci oltre l'ultimo orizzonte, oltre la cima della piramide, in quella terra che si estende oltre il vero e il falso,lo spazio e il tempo, la vita e la morte, la materia e lo spirito...Nella sua voce c'è un incendio inestinguibile[...]
Un incendio inestinguibile, frase stupenda, essa stessa un' intera poesia, che calza anche a pennello per il nostro Jodo (come lo chiamano i suoi fans).
Ma che combinava concretamente in quel contesto così peculiare e irripetibile?
Evidentemente già allora era parecchio “strambo”, almeno per i canoni consueti della società e si dilettava con i suoi amici a comporre azioni poetiche più che poesie in versi.
Di che si trattava? Per rendere l'idea penso basti citare un solo esempio.( Cito a memoria e non pedissequamente il testo):

Un giorno io ed un mio amico stavamo camminando per strada quando all'improvviso suonammo il campanello di una casa per noi del tutto sconosciuta. Alla signora che ci rispose chiedemmo se potevamo entrare, attraversare la casa e proseguire il nostro cammino dal retro della stessa.
La signora non si scompose nemmeno un istante e ci rispose di si. La poesia era letteralmente nell'aria, si respirava ovunque, per quella donna fu naturale rispondere si.
Ci eravamo prefissati di camminare in linea retta, senza mai deviare dal percorso. Quello, per noi, era un gesto poetico.

Oltre la poesia, che comunque non abbandonerà mai, dato che come lui stesso ci ricorda andrebbe coltivata e scritta mezz'ora ogni giorno, egli approda con entusiasmo al teatro per accorgersi però ben presto di quanto la tradizione teatrale gli vada stretta e non lo soddisfi appieno.
Arriva a teorizzare che impersonare un personaggio è inutile, l'attore deve diventare attore di se stesso, conoscerci in profondità, esternare se stesso. Interpretare il proprio mistero.
Ammette che il teatro lo interessa poco come distrazione e molto come strumento per la conoscenza di sé. Addirittura lo spettatore diventa superfluo, anzi  inconcepibile, come i posti a sedere che esso occupa: tutti devono diventare attori se possibile e il confine da sempre reputato inviolabile tra scena e poltrone svanisce all'istante: l'attività teatrale si sposta ovunque, letteralmente, dai camerini ai corridoi fino agli spazi pubblici come un autobus di linea in corsa o una piazza cittadina.
Un'esibizione meta-teatrale che divenne davvero leggendaria e segnò uno spartiacque definitivo nella vita dell'artista, avvenne nel 1965 a Parigi.
Non una commedia, non una recitazione imparata a memori ma più un happening, forma d'arte molto più conosciuta ai giorni nostri, il cui scopo, per Jodo, che vi parteciperà attivamente e non solo come regista, era quello di scatenare nei partecipanti, in modo improvviso e non calcolato, le pulsioni più inconsce, esternandole senza freni inibitori, senza vincoli o remore morali. Voleva sondare gli estremi della natura umana e indagarne le tenebre e le ombre portandole ad emergere con atti impulsivi governati da follia, libidine, trance etc etc. Per l'occasione vennero portati sulla scena una miriade di oggetti apparentemente assurdi e decontestualizzati, ma in realtà con specifici significati simbolici, con i quali gli attori interagiranno senza copione, facendosi guidare dall'ispirazione e i desideri del momento. Non si risparmiarono nemmeno animali vivi o loro parti fresche di macello.
Non voglio assolutamente rovinarvi la sorpresa di leggere la lunga e dettagliata descrizione di quell'avvenimento, vi trascriverò solamente l'incipit dello spettacolo, che si protrarrà per ore e ore...

Alcune oche vive vengono portate sulla scena e sgozzate da me davanti a tutti, queste ultime vagano sul palco sprizzando sangue sugli altri attori, i cadaveri vengono poi usati come goffe armi per picchiare i corpi di donne nude...

Insomma, un delirio totale a metà strada fra riti dionisiaci sfrenati e le più nefaste perversioni in stile 120 giornate di Sodoma e Gomorra (ottimo ma inquietante film di Pasolini).
Difficile non pensare a un rituale di magia nera pura anche se l'autore-attore ci tiene a rimarcare più volte come tutto fosse sotto il suo controllo affinchè le cose non degenerassero in pornografia o atti di violenza tra i partecipanti. In ogni caso Esagerazione allo stato puro!
Anzi, lui stesso ammette che quell'evento è corrisposto a una sorta di rito d'iniziazione, come se una discesa a così infimi livelli avesse un potere liberatorio, espurgante e di catalizzatore / propulsore per l'inevitabile risalita. Ricorda infatti ai lettori che i fiori di loto nascono nella melma più profonda dei fondali.
La cosa mi ha molto ricordato quelle performances da salotto tenute da Gurdjeff, le cui opere Jodorowsky conosce bene, una cinquantina di anni prima, quando riusciva a scatenare in borghesi repressi e puritani, le pulsioni più basse e animalesche.
Se una morale va trovata, è forse quella di dimostrare all'uomo quanti strati, quanti io e quante bestie dentro di noi possediamo ( o forse sono loro a possedere noi?), senza averne nè la consapevolezza nè il benchè minimo controllo, pur se apparentemente addormentate in profondità dentro di noi.

L'happening parigino ha chiuso un'intera fase della mia vita. Da li in poi ho voluto creare un teatro positivo, illuminante e terapeutico.

Ed è senz'altro da qui che Alejandro inizierà a produrre veri e propri capolavori in qualsiasi campo artistico, ma non solo, si cimentasse.
E ' proprio da quell'atto parigino che Jodorowsky, schifato a sazietà dalla dimensione negativa fatta affiorare, si ridireziona verso l'alto e la luce.
Inizierà così un percorso spirituale che lo porterà a conoscere persone eccezionali e a ridefinire gli scopi della sua esistenza, primo fra tutti il bisogno di aiutare gli altri in modo al contempo spassionato e appassionatissimo, senza mai aspettarsi un ritorno economico, aiutandoli a guarire da tutti i dolori e le malattie possibili, prima fra tutte quella di non conoscere se stessi.
 Superata la quale si avranno tra le mani tutti gli strumenti necessari per un'autentica e rivoluzionaria autoguarigione.